A sentire l’autorevole John Kenneth Galbraith, le sue teorie economiche erano degne di suscitare interesse solo “in luoghi remoti come praterie canadesi”, ma le tesi di Clifford Hugh Douglas, fondatore del movimento del Credito Sociale, non possono essere liquidate con una sbrigativa stroncatura accademica. Personalità lineare, uomo creativo e pratico, Douglas nacque in Inghilterra nel 1879 e morì nel 1952. Dopo aver studiato all’Università di Cambridge, fu ingegnere specializzato nell’analisi dei costi industriali del settore ferroviario. Ricoprì diversi incarichi e lo chiamavano “il Maggiore” per via del grado militare nei Royal Flying Corps durante la prima guerra mondiale e successivamente nella riserva della RAF. Il suo interesse per lo studio dei meccanismi economici, iniziò nel 1918 quando sul numero di dicembre della English Review apparve un articolo intitolato “The Delusion of Super-production”. Mentre stava riorganizzando il lavoro del Royal Aircraft Institut, durante il periodo bellico, Douglas notò che il costo totale settimanale di merci prodotte era maggiore delle somme versate ai lavoratori sommando salari, stipendi e dividendi.

Questo sembrava contraddire la teoria economica classica, secondo la quale, tutti i costi sono distribuiti simultaneamente come potere d’acquisto. Il Maggiore raccolse dati da più di un centinaio di grandi imprese britanniche, e rilevò che in ogni caso, le somme versate a titolo di stipendi, salari e dividendi erano sempre state inferiori ai costi totali dei beni e servizi prodotti ogni settimana: ciò significava che i lavoratori non erano stati pagati abbastanza per poter acquistare ciò che avevano realizzato. Una constatazione apparentemente banale che lo spinse a studiare il rapporto tra produzione e funzione monetaria.

Douglas era un sostenitore della libertà individuale che vedeva minacciata da tutte le forme di monopolio e in particolare da quello del credito. Nel corso degli studi, decise di fondare il movimento politico noto come “Social Credit”. Dal mese di giugno del 1919, il periodico The New Age diretto da Alfred Richard Orage, che già ospitava gli scritti di Ezra Pound, pubblicò a puntate quello che sarebbe stato il primo libro di Douglas: Economic Democracy. Nel 1920 per tramite di Orage, conobbe il poeta americano che più volte gli renderà omaggio nei suoi Cantos. In Carta da Visita Pound ricorderà: «Quel movimento (di Douglas ndr) fu la porta dove entrai nella curiosità economica».

La grande depressione del 1929 diede a Douglas un’ampia notorietà, confermando la sua diagnosi sul principale difetto del modello economico classico: l’equilibro sempre precario tra abbondanza e povertà. In quel periodo si recò in Giappone, Australia e Nuova Zelanda presso i parlamenti e scrisse una relazione per la commissione finanze del governo britannico. Nel 1933 costituì sotto la sua presidenza, il Social Credit Secretariat, un centro studi che offriva consulenze. Nel 1935, nella regione canadese dell’Alberta, un movimento politico ispirato dalle sue teorie economiche vinse le elezioni ma fu continuamente ostacolato dal governo federale e dalla Corte Suprema.

Nel 1938 fu fondato il periodico The Social Crediter.

ANALISI
L’aumento della produzione determinato dalla tecnologia nell’industria ha provocato un dislivello tra produzione e consumo, beni disponibili e capacità di acquistarli. Douglas scrive: «La moneta non è prodotta attraverso l’industria. Neppure è prodotta per mezzo dell’agricoltura, o di qualsiasi procedimento produttivo. Il contadino che fa crescere una tonnellata di patate non fa crescere la moneta che serve per acquistarla (…), egli guadagna soltanto moneta che qualcuno già aveva». Non c’è quindi un rapporto stabile tra i beni prodotti e salari. La difficoltà di smaltire la produzione provoca una spasmodica e ossessiva necessità di aprire nuovi mercati, introdurre artificialmente nuovi bisogni, come se si potesse continuare all’infinito. Un perfido dispositivo di produzione e consumo, accompagnato dal monopolio bancario dei mezzi di produzione monetaria che controlla il potere d’acquisto. Douglas, partendo dal presupposto che il senso della produzione è dato dal consumo, enuncia il cosiddetto teorema A+B, la chiave di interpretazione di quello che considera il difetto nel sistema dei prezzi.

In ogni impresa produttiva i pagamenti possono essere suddivisi in due categorie:

A – tutti i pagamenti effettuati a singoli sotto forma di stipendi, salari e dividendi;

B – tutti i pagamenti effettuati ad altre organizzazioni per acquisto di materie prime, rimborsi di prestiti bancari e altri pagamenti non a singoli.

Il potere d’acquisto a disposizione dei singoli è rappresentato da A ma, siccome tutti i pagamenti effettuati da un’impresa sono costi che concorrono alla costituzione dei prezzi, A non potrà acquistare A+B a meno che una parte della produzione equivalente almeno a B, non venga distribuita per mezzo di una forma di potere d’acquisto non compresa nella descrizione del gruppo A.

L’obiettivo da raggiungere per Douglas, è quello di agganciare il potere d’acquisto al totale dei prezzi dei prodotti realizzati, attraverso un serie di “accrediti compensativi” secondo parametri definiti. Collegare l’emissione monetaria alla produzione, serve a spezzare un ciclo perverso che Douglas ha ben illustrato:

  1. periodica scarsità di potere d’acquisto, il cui risultato è l’incapacità del mercato interno di smaltire tutta la produzione;
  2. la carenza del mercato interno causa disoccupazione;
  3. conseguenza della disoccupazione è una forte depressione;
    d. la ricerca di mercati esteri, per superare la depressione, fa sorgere attriti internazionali;
    e. gli attriti portano prima o poi alla guerra;
    f. la guerra determina il crescente ricorso ai prestiti, con debito e inflazione;
    g. debiti e inflazione spingono a ricorrere a una tassazione sempre più pesante.

A questo punto si arriva alla pace, sempre in equilibrio precario e il ciclo riparte. I creditisti vogliono raggiungere un equilibrio con una massa monetaria, non gravata da debito, corrispondente alla ricchezza reale in modo che il totale nominale dei mezzi monetari corrisponda al totale dei beni offerti.

LA SOLUZIONE

«Il sistema finanziario è essenzialmente un sistema di magia nera, e una delle migliori protezioni contro la magia nera è di non crederci»

(C.H. Douglas, The Alberta Experiment)

Douglas formulava un insieme di proposte monetarie dettagliate, non di valore assoluto o permanente, ma adattabili alle situazioni particolari. Fin dal 1924, in Social Credit, spiegava quello che riteneva l’approccio corretto per la composizione del gap tra prezzi e potere d’acquisto. Occorre ottenere una riduzione di prezzi coincidente con il potere d’acquisto disponibile, attraverso l’emissione di una nuova moneta accreditata e senza interesse. Inoltre periodicamente va distribuito a tutti i cittadini un “dividendo nazionale”, che rappresenta una quota della ricchezza prodotta. Il presupposto di questo progetto è il pieno controllo da parte dei governi della funzione monetaria e un controllo rigido per evitare l’inflazione.

LA POLEMICA A DISTANZA TRA DOUGLAS E KEYNES

(…) deve essere ricordato che tutti i cervelli del mondo che possono essere comprati con denaro sono a disposizione del sistema bancario.

(C.H. Douglas, The Monopoly of Credit)

Nella sua Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, John M. Keynes definisce Douglas un “eretico” che aveva imbastito una teoria del sotto-consumo (la povertà in mezzo all’abbondanza). Dopo l’affermazione singolare che «la forza dell’argomentazione del maggiore Douglas è dipesa naturalmente dalla circostanza che l’ortodossia non aveva alcuna risposta valida alla maggior parte delle sue critiche distruttive», Keynes procede a una critica sbrigativa delle teorie di Douglas negando la diagnosi della scarsità di potere d’acquisto perché questa sarebbe bilanciata da nuovi investimenti e da maggiori spese per il consumo. Da parte sua, Douglas si è occupato di Keynes in un articolo pubblicato su The Social Crediter del 4 marzo 1950, in cui affermava che le proposte del noto economista inglese non erano altro che palliativi utili per rinviare sine die, aggravandoli, i problemi della scarsità di potere d’acquisto e dell’aumento del debito. La proposta keynesiana del deficit spending, che affida al settore statale il finanziamento di opere pubbliche attraverso un progressivo indebitamento con il settore bancario è, per Douglas, solo un cattivo espediente per incrementare il potere d’acquisto. In ogni caso, Keynes non poteva negare il problema della carenza del potere d’acquisto e comunque le sue teorie sono studiate a vantaggio del sistema bancario, massimo beneficiario del debito pubblico e non affrontano con coraggio tutte le principali storture del sistema capitalistico.

DOUGLAS E LA MODERNITA’

Molti dei problemi evidenziati da Douglas sono attuali: iperproduzione e scarsità di risorse monetarie, ricerca ossessiva di mercati esteri dove smaltire le merci, una nuova guerra di tutti contro tutti combattuta con le armi della finanza. L’esplosione delle attività e dei prodotti finanziari, causati dalla crescente deregolamentazione del settore, ha aumentato il dislivello tra mezzi monetari e beni prodotti e ormai ci troviamo di fronte a una massa monetaria che per il 90 per cento non è legata a beni e produzione nell’economia reale. Tale situazione mette in crisi anche la proposta del “credito sociale”. Reso il dovuto merito a quella che è stata ed è ancora un’analisi corretta e precisa dei mali economici, forti perplessità sorgono in merito alla complessità della riforma suggerita dal Credito Sociale. La laboriosità del calcolo per definire il divario tra potere d’acquisto e prezzi dei beni e servizi e il meccanismo di valutazione dei crediti compensativi, presuppongono una struttura burocratica forse troppo complessa. Una struttura che sembra contraddire lo spirito del movimento creditista che si propone di affrancare l’individuo dal controllo del gruppo e comunque, resta il problema di come semplificare il riequilibrio tra massa monetaria e disponibilità di beni e servizi che rischia di essere troppo macchinoso. Douglas e i teorici del Credito Sociale hanno avuto il merito di immaginare un altro percorso distante dal mercantilismo più rozzo. Forse sono stati dei sognatori ambiziosi, sicuramente meno arroganti di chi continua dire che l’unica strada percorribile è quella di un riformismo pallido.