demagogia è il vocabolo usato dai democratici, quando la democrazia li spaventa (Nicolás Gómez Dávila)

REVOLVER

Mese: Gennaio 2014

L’uomo col fucile perfetto.

Tutto è cominciato in Siberia. Era il 1930 e chissà come, il giovane ragazzo aveva trovato una vecchia pistola tedesca arrugginita e inservibile. I poliziotti sospettarono qualcosa, lo arrestarono per farlo confessare, ma lui coraggioso e imperterrito, continuò a negare rischiando la fucilazione. La nascose, passava ore a smontarla e rimontarla, a ingrassare e studiare i meccanismi.
Ora di fucili che portano il suo nome ce ne saranno almeno 100 milioni in circolazione nel mondo. Se si facesse una graduatoria delle dieci parole più utilizzate, oltre a “mamma”, “pane” e “tv”, ci sarà sicuramente Kalashnikov. L’Ak 47, Avtomat Kalashnikov (47 sta per l’anno di progettazione) è l’arma da fuoco più diffusa sul pianeta. Utilizzata nell’esercito russo e cinese, preferita da tutti i gruppi armati, rivoluzionari, terroristi, mafiosi. Il Kalashnikov non passa mai di moda, continua ad essere favorito per la sua efficienza. Malgrado gli studi e i progressi tecnologici e tutti i cervelloni che progettano armi sofisticate, questo fucile d’assalto ha una caratteristica unica: non si inceppa mai.
Passano i Vietcong, i Fedayn e los guerrileros, ma questo mitra dal caricatore ricurvo è sempre lì, semplice nella sua concezione, prezzo modico e molto più affidabile di tanti suoi omologhi sofisticati. Come abbiamo detto, non si blocca ed è capace di sputare quattrocento proiettili al minuto in qualsiasi condizione, nel freddo glaciale o nel caldo arroventato del deserto. 
Mikhail Kalashnikov, è morto tranquillo all’età di 94 anni e a chi gli chiedeva se fosse pentito per aver costruito quel perfetto strumento di morte continuava a ripetere: “L’arma che ho creato vive la sua vita, indipendentemente dalla mia volontà”. E poi con un tono enfatico aggiungeva: “Spero che resterò nella memoria della gente come quello che costruì un’arma per difendere le frontiere del proprio paese”. Nel 2003, in un incontro a Berlino, con ironia disse che avrebbe preferito “inventare qualcosa di più utile alla gente, che rendesse la vita più facile a chi coltiva la terra, magari una falciatrice automatica d’erba anziché di uomini”.
Misha, arruolato meccanico nell’esercito, per tutta la sua carriera fu un semplice soldato, solo negli anni Novanta divenne sergente e la sua arma fu brevettata. Se fosse stato americano sarebbe diventato miliardario.
S’è detto che il Kalashnikov è un’arma costruita da un operaio per dei soldati contadini. Il segreto sta proprio nella bassa tecnologia, il fatto che si possa usurare ma restare perfettamente funzionante. Gli esperti più maliziosi sostengono che per la sua creazione, Kalashnikov si sarebbe ispirato allo Sturmgewehr 44 tedesco, utilizzato nella Seconda guerra mondiale. Tuttavia sottovalutano l’elemento di semplificazione, alleggerimento e la geniale idea di avere parti tutte staccate e mobili, “trasparenti” alle intemperie. Misha è arrivato a tutto ciò con la pratica, la pazienza e senza complicati studi. Semplicemente perfetto.

                                                                                                                                              

 

Deficit, debito e il fantomatico tre per cento…


Superare il deficit del 3% si può e se necessario si deve. Uno stato dell’Unione Europea può decidere in non rispettare i vincoli sottoscritti, soprattutto se si trova in una situazione di recessione. La Commissione europea non può impedirglielo: a Bruxelles potranno al massimo aprire una procedura di infrazione, comminare sanzioni, negare l’accesso ad alcuni vantaggi riservati ai paesi virtuosi. Dunque, la questione è politica e se al governo hai dei lustrascarpe, non puoi stupirti che ad ogni rutto brussellese, tutti si mettono sull’attenti.
Il Patto di stabilità e crescita in vigore dal primo gennaio 1999, stabilisce i criteri di bilancio che i paesi dell’Eurozona devono rispettare. Tra gli altri, avere un deficit non oltre il 3% del Pil e un debito non superiore al 60 per cento. Questi criteri valgono anche per i paesi che non adottano l’euro e per chi sfora i parametri, la Commissione può attivare una “procedura d’infrazione” per deficit o debito eccessivo, nel corso della quale invia una “raccomandazione” ai governi interessati con le misure per rientrare nei parametri.
Nel 2001 l’Irlanda subì un avvertimento. L’Italia ha subito una prima procedura tra il 2005 e il 2008 e dall’ultima è uscita nel 2013, con una politica economica che ha avuto gli stessi effetti collaterali di una purga prolungata. Tra il 2003 e il 2004 Francia e Germania oltrepassarono il limite del 3 per cento ma essendo le nazioni più potenti dell’Europa continentale, se ne fregarono completamente dei rimproveri delle istituzioni comunitarie. La prova l’abbiamo adesso. A differenza dell’Italia che si è fatta imporre un percorso rapido di assestamento del bilancio, la Francia continua a fare come vuole e nei suoi confronti l’atteggiamento è molto più cauto. A Parigi il ceto politico si fa rispettare, noi ci atteggiamo ad adulatori primi della classe e non facciamo una riforma decente.
“Sixpack”e “Twopack”, sono i nomi tecnici di una serie di regolamenti entrati in vigore nell’ultimo biennio a livello europeo. Il suono onomatopeico ci ricorda che la parola “pacco”, nasconde sempre una fregatura.
Il sixpack in vigore dal dicembre 2011, consiste in una direttiva e cinque regolamenti che riguarda la sorveglianza e i requisiti dei bilanci nazionali. Sono norme rigide per l’attuazione di tutti i parametri finanziari contenuti nei trattati. Come dire, per chi fosse ancora riluttante, abbiamo trovato il modo di castigarlo…
Il regolamenti del twopack, in vigore dal 30 maggio 2013, per le nazione che utilizzano l’euro, prescrivono che entro il 15 ottobre, prima dell’approvazione da parte dei singoli Parlamenti, i governi devono sottoporre alla Commissione europea una proposta di bilancio per l’anno seguente. Entro il 15 novembre, la Commissione formula delle “considerazioni” non vincolanti. Solo allora il bilancio, eventualmente modificato in base ai suggerimenti di Bruxelles, viene esaminato dal Parlamento nazionale che deve approvarlo entro il 31 dicembre. Ovviamente la libertà di prendere in considerazione questi “suggerimenti”, varia a seconda della forza politica di uno Stato. All’Italia di solito le raccomandazioni vengono fatte con la pistola puntata alla tempia, anche se adesso neanche quella serve più, ai pusillanimi di Palazzo Chigi basta un ceffone ben assestato.
Il peggiore di tutti è il Fiscal Compact. Il nome ufficiale è “Trattato su stabilità, coordinamento e governance”, in vigore dal primo gennaio 2013. E’ un accordo inter-governativo, perché Gran Bretagna e Repubblica Ceca, non hanno voluto firmarlo e prevede, fra l’altro, l’obbligo del pareggio di bilancio o un deficit strutturale al massimo dello 0,5 per cento del Pil, riduzione del debito pubblico del 5 per cento ogni anno della quota eccedente il il 60 per cento. Miliardi di euro per i ragionieri di Bruxelles.

Domande

Nell’era della cessione di sovranità da parte di singoli a favore del potere tecnico, economico e militare, quale libertà è possibile? Esistono oggi pericoli più grandi della perdita della libertà?
La libertà risiede normalmente dove viene fatta apparire? Il sistema del comfort, la logica della prevenzione a tutti i costi, l’ideologia democratica sono elementi indispensabili della libertà?
C’è una tremenda frenesia di “sorvegliare e punire” attraverso l’uniformazione dei comportamenti, il controllo tecnoscientifico della vita, l’amministrazione burocratica delle menti.
Qual è il volto dell’uomo libero? E come si ritrova nello spazio politico?

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