demagogia è il vocabolo usato dai democratici, quando la democrazia li spaventa (Nicolás Gómez Dávila)

REVOLVER

Mese: Aprile 2018

John Wilkes: politico, giornalista, donnaiolo che ha lottato per il diritto di criticare ferocemente il potere

Londra. Correva l’anno 1771. Un politico, giornalista, galantuomo e puttaniere, appassionato frequentatore di bordelli e grande bevitore, vince la battaglia definitiva per la libertà di criticare il potere, informare e scegliersi i propri candidati alle elezioni. Si chiamava John Wilkes e il suo motto era: «Libertà dall’uccello fino alla parrucca!».

Wilkes nacque a St John’s Square, Clerkenwell, il 17 ottobre 1725. Imparò le buone maniere degne di un gentiluomo in modo così fedele da ricevere persino i complimenti di Re Giorgio III per la perfetta educazione, nonostante il sovrano continuasse a riferirsi a lui come al “Diabolico Wilkes”. A vent’anni si sposa con Mary Mead, puritana e unica erede della migliore amica (vedova) della madre. La sua dote consisteva in una casa a Londra e nel maniero di Aylesbury, elegantemente situato a metà strada fra Londra e Oxford. Dal matrimonio nacquero una figlia, Polly, l’unico vero amore e una separazione. A scatenare la rabbia di Mary non furono tanto le infedeltà del marito, quanto il fatto che sperperasse tutto il suo denaro per l’attività politica. Come ebbe a dire John Wilkes in modo succinto: «Amo tutte le donne, eccetto mia moglie».

Wilkes divenne un sofisticato cittadino londinese, proprietario terriero e giudice di pace, bon viveur dedito alle donne e alle bevute. Tramite il suo amico Thomas Potter, parlamentare di dieci anni più vecchio, conobbe Ralph Allen e tramite lui, incontrarono l’uomo che diventerà poi la loro bestia nera, il quarantaseienne reverendo William Warburton, sposato con la vivace nipote ed erede di Allen, la diciottenne Gertrude Tucker.

Potter e Wilkes non sopportavano l’ecclesiastico, untuoso e pieno di sé, eccellente corruttore, capace di oliare così bene gli ingranaggi giusti per diventare arcivescovo di Gloucester. La reputazione di Warburton stava tutta nella continua ristampa del Saggio sull’uomo di Alexander Pope, del quale aveva ereditato i diritti e ogni nuova edizioni, era infarcita di prefazioni bigotte e lunghe interpretazioni sull’autore. Potter, per castigare il prelato, sedusse la condiscendente Gertrude e da lei ebbe un figlio e, tanto per non farsi mancare nulla, lui e Wilkes, composero una parodia oscena del libro, intitolata Saggio sulla donna basandolo sui racconti di una famosa prostituta inglese, Fanny Murray. Niente di meglio per offendere un uomo di chiesa privo di humour. Sempre Potter, grazie ai suoi contatti, sostenne la carriera politica di Wilkes fino al parlamento.

Il 25 aprile non è la mia festa

Il 25 aprile non è la mia festa. Io sto dalla parte sbagliata, con quelli che scelsero di non abbandonare i camerati della prima ora e di proseguire fino alla fine, consapevoli di andare verso una sconfitta sicura. La maggior parte di loro non lo fece in ossequio a una disciplina di apparato, ma per riscattarsi dal disonore sparso dai tanti voltagabbana. Uomini e donne che rifiutarono la codardia e decisero di rischiare, di non restarsene rintanati in casa in attesa che passasse la tempesta. Non si misero un fazzoletto al collo pochi giorni prima della disfatta per battere le mani ai vincitori.

Appartiene all’indole aristocratica combattere perché è giusto farlo, senza certezze, senza calcoli, solo per l’onore. Per questi ragazzi non provo una misurata compassione, ma una sincera ammirazione, un’identità di sentimenti. La lealtà sul campo di battaglia è più importante di ogni giudizio morale.

Le pecore pascolano sui cadaveri dei lupi, ma restano pecore. Rifiuto il vostro canone rispettoso di un’idea dogmatica della storia. Non mi importa della vostra dicotomia bugiarda del bene e del male, tra la beatitudine democratica e l’inferno dell’eresia. Non cerco accoglienza nella vostra polis, non mostro deferenza.

Laggiù nelle terre selvagge, gli eretici cantano in mezzo ai fuochi accesi per la notte. Ridono di tutto. L’onda sonora di quelle risate infrange il muro delle vostre certezze. Una sconfitta non muta un sentimento, la vostra collera per la nostra mancata conversione, si trasforma nella nostra gioia.

Io sto dalla parte del torto.

Sulla Siria il solito castello di bugie

Il conflitto in Siria è ridotto a poche porzioni di territorio dove sono asserragliate le milizie islamiste che qualcuno si ostina ancora a presentare come opposizione moderata. L’unica guerra che si combatte su vasta scala è quella dei media occidentali. Il web viene intasato di notizie spesso manipolate e distorte a senso unico, dove l’unica verità è il sangue delle vittime di rappresaglie, pestaggi, bombe ed esecuzioni sommarie. È la guerra dell’informazione condotta da principali media che però, questa volta, non è riuscita ad ottenere il risultato sperato, accompagnare la caduta del governo di Damasco. Sul terreno siriano non c’è stata semplicemente una massiccia infiltrazione di miliziani armati dalle potenze straniere, ma si è sperimentata una tecnica di guerra mediatica, fatta di propaganda di parte, esagerazione di eventi, alterazione dei numeri, dentro un mercato becero di immagini in stile horror.

Le notizie che contano, quelle che servono a impressionare, vengono estratte dal territorio e affluiscono su piattaforme digitali che provvedono a canalizzarle sul Web. È così è tutto un profluvio di video truculenti dei massacri nelle aree non ancora ripulite dall’esercito siriano: decapitazioni, crocifissioni di “infedeli”, presunti attacchi chimici, esibizioni muscolari da parte di gruppi autoproclamatisi ribelli.

Germania e Francia in azione, noi a sonnecchiare

Germania e Francia da qualche mese dialogano con insistenza sulla trasformazione e riorganizzazione dell’Unione Europea. Il 19 gennaio, in occasione della firma del nuovo trattato dell’Eliseo, rinnovato rispetto a quello del 1963, i due paesi hanno ribadito la necessità di rafforzare la politica internazionale, monetaria e di difesa del vecchio continente. Il disegno, nei suoi contorni generali, era stato tratteggiato da Emmanuel Macron già il 26 settembre 2017. Nel discorso tenuto alla Sorbona, il presidente francese aveva annunciato la proposta di una nuova alleanza franco-tedesca, per dare “impulso decisivo” a un’Unione europea spesso “troppo debole, lenta e inefficiente”. Macron aveva indicato una data, il 2024, per una piena integrazione tra i mercati dei due stati.
Niente bazzecole sullo spirito dei padri fondatori, in quel discorso forse troppo ambizioso, il presidente francese delineava la sua idea di riforma dell’eurozona: un ministro delle finanze europeo, responsabile di un budget comune europeo a capo di un’agenzia in grado di emettere bond continentali per finanziare dei grandi investimenti pubblici.

La Germania è riluttante a condividere un budget con gli altri diciannove stati della zona Euro, timorosa al solito che dietro ai grandi proclami si nasconda la condivisione degli sprechi e come risaputo, non le piace nemmeno l’idea di condividere debito e tassi d’interesse con i paesi mediterranei. Però i tedeschi, spingono per un sistema di difesa europeo e lentamente, stanno avviando un processo di emancipazione dalla tutela pesante di Washington anche se sono necessarie delle rettifiche. Siamo solo all’inizio. In ogni caso tra Berlino e Parigi c’è intesa su alcuni obiettivi e una dialettica forte.

Il metodo con cui stanno imponendo la loro visione dell’Europa futura, può destare perplessità, ma l’Italia cosa sta facendo? Sonnecchia e osserva svaporata tra le nuvole, mentre il Mediterraneo ribolle. Troppo impegnata nelle zuffe da cortile tra sovranisti all’amatriciana ed europeisti in perenne adorazione. Una nazione che rifiuta di prendersi delle responsabilità politiche senza definire un progetto alternativo, ha sviluppato solo l’arte del lamento.

“Giugno o niente”, con queste parole il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha spiegato bene in un’intervita rilasciata a Politico.eu, il 21 gennaio: “questo non è lo stesso tipo di discussioni che abbiamo avuto in passato. Non stiamo parlando di idee generali, stiamo guardando ogni dettaglio tecnico per dar vita a un vero e proprio accordo”. Entro giugno tutto deve essere pronto.
A Roma i nuovi parlamentari dovrebbero leggere con attenzione questa intervista perché la qualità di una nazione e della sua classe dirigente, si valuta prima di tutto dalla politica estera. Parigi e Berlino vanno avanti per la loro strada, mentre noi siamo incapaci e strutturalmente impreparati a proporre qualsiasi alternativa in merito, per poi accusarli di ogni nefandezza – i perfidi tecnocrati di Bruxelles, i tedeschi che ci odiano, i francesi che ci comprano – quando saremo, per colpa nostra, nel solito guazzabuglio di problemi.

Finirà come per gli accordi Maastricht e col Fiscal Compact: ci sveglieremo tardi e poi ricominceremo con il piagnisteo. Sovrano è chi decide ed ha la forza e la capacità di par-tecipare ai processi decisionali dell’Europa. Qui sta il campo di battaglia dove si misura il valore di una nazione. Se non siete in grado di farlo, fregatevi …

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