Il dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità (MES) ha assunto un tono surreale, la contrapposizione è tra la difesa a oltranza degli europeisti osservanti e la critica spaccatutto di una platea populista di destra e sinistra che non ipotizza un’alternativa realizzabile. Tutte le posizioni intermedie sono state messe al bando. Siamo arrivati a questo punto a causa dell’approssimazione della classe politica italiana che si è ricordata di una questione così importante e decisiva solo nell’ultimo quarto d’ora, a negoziati ormai conclusi. La riluttanza e l’opacità del presidente Conte non spiegano tutto, sono dettagli indicativi di uno splendido disordine.

Nella pastoia dei social network prevale la propaganda. Chiunque cerchi di esprimere posizioni ragionate e non preconcette viene rimproverato dal proprio gruppo di riferimento e da quelli avversari. Un esempio è l’atteggiamento di alcuni esperti in materia di finanza pubblica come Maria Cannata, Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Vincenzo Visco. Ognuno di essi aveva espresso dubbi e criticità rispetto al MES, ma tutti sono stati costretti a correggere il tono e la sostanza delle dichiarazioni sia per le pressioni degli altri colleghi e soprattutto, per non offrire un assist alle posizioni più euro-critiche. In un batter occhio si sono allineati al conformismo dominante.

I giornali più vicini alle posizioni di governo continuano a nascondere un dato: l’agitazione nervosa dei mercati non è da attribuire all’opposizione, ma al disordine di un governo debole, litigioso, diviso e senza una linea di condotta, con l’unica ragione di esistere che è quella di conservare il potere. Lega e Fratelli d’Italia hanno aperto una crepa e costretto l’avversario a difendere qualcosa di oscuro e tecnocratico ma devono stare attento perché sono molto bravi ad accelerare e poco prudente quando si tratta di frenare. Criticare il MES, le regole, i meccanismi di governance è giusto, sarebbe opportuno evitare esagerazioni e toni apocalittici non necessari.

Esiste un problema politico non adeguatamente affrontato perché sembrano tutti posseduti dal demone dell’economicismo. L’accrescimento dei poteri del MES rafforza o indebolisce le istituzioni europee? Le indebolisce nel lungo periodo perché arretra la politica. Si spostano le decisioni più significative, quelle sulla condizione ultima di uno Stato in difficoltà, nelle mani di un fondo tecnico. Perché una decisione così importante non viene affidata a organi politici, seppure imperfetti, come la Commissione e il Consiglio? Inutile elaborare strane e contorte teorie, ogni decisione su come affrontare la crisi è politica non tecnica, ogni decisione presa a Bruxelles è il risultato della dialettica e della mediazione tra gli stati membri.

L’anomalia presente e mai corretta di tutta l’architettura europea è la convinzione secondo la quale l’integrazione si rafforza con procedure automatiche e strumenti tecnico-finanziari più che con la politica. La riforma del MES è l’ennesima prova della disfunzionalità delle istituzioni dell’Unione Europea. A caratterizzarle è la mentalità tanto a cara a Jean Monnet uno dei celebrati padri fondatori, quella dell’integrazione economico-funzionale che aggira la politica e giustifica ogni decisione con il fatto compiuto. Le procedure si complicano e le disposizioni passano sempre più spesso all’esterno del perimetro delle istituzioni politiche.