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1.
Il cambio di regime a Kiev e la complessa crisi che ne è discesa sotto il profilo dei rapporti intrattenuti tra europei, americani e russi, ci spinge a fare qualche ipotesi.
Diciamo che la spallata all’Ucraina era stata messa in conto, ma non era affatto una priorità per l’Amministrazione Obama, impegnata a gestire insieme a Mosca due importanti dossiers: Siria e Iran, dentro una logica che ricorda tanto l’accordo Sykes-Picot del 1915, con nuovi protagonisti.
L’obiettivo degli americani è sempre lo stesso: infastidire il Cremlino il più possibile, evitare un rafforzamento dell’asse Germania-Russia e ritentare di fare quello che non riuscì a George Bush nel 2008, portare Kiev e Tblisi dentro la Nato, cosa che all’epoca fu impedita soprattutto da Germania e Italia.
Gli europei come sempre indecisi, hanno commesso l’errore di non gestire autonomamente questa crisi politica, indotta ed eterodiretta da più parti. Come già accennato, gli Stati Uniti sono i primi a trarre vantaggio dalla cronicizzazione dello scenario nell’est ucraino. In primo luogo, tengono la Russia impegnata nel ruolo del “cattivo” e la distraggono da altri contesti (Medio Oriente in particolare).
L’approccio della Russia non è certo improntato all’idealismo, ma risponde ad un sano e robusto pragmatismo. Putin è cosciente della natura bidimensionale del suo Stato e deve necessariamente mantenere un buon rapporto con gli europei (via Berlino) e rafforzare la dimensione asiatica. Tuttavia, una politica di potenza non richiede solo volontà, ma una formidabile quantità di denari e a Mosca non si naviga nell’oro come si crede e l’unica arma formidabile è solo quella delle materie prime.
I leader del Cremlino ora hanno un grande problema: dover giustificare alla propria opinione pubblica, ancora galvanizzata ed euforica per la facile presta della Crimea, l’improvvisa cautela verso il resto delle province russofone, proprio in una fase di scontri accesi.
La realpolitik prevale e Putin non ha alcuna intenzione di morire per Donetsk e per il momento ogni retorica patriottica e richiami alla fratellanza russa, sono stati messi da parte.
L’acquisizione della Crimea è sembrata più un’operazione di reazione calcolata per colmare la perdita d’influenza nell’Ucraina e non una sincera strategia di difesa delle popolazioni russe oltre confine. La dirigenza russa è consapevole che il controllo degli oligarchi vicini a Mosca, sarà difficile nel medio-lungo periodo, visto che tendenzialmente a Kiev tutti fanno il doppio gioco.
Il nuovo presidente Poroshenko è senza dubbio in contatto con tutti gli uomini che contano a Washington, Mosca e Bruxelles. Lo schema ucraino è più semplice di quello che si crede: gli oligarchi fissi al potere e l’alternanza solo di questo o quel clan. Prima comandava il clan di Donetsk, ora quello di Kiev. Noi italiani questa tattica la conosciamo bene.
2.
L’Ucraina è una pedina di un gioco più grande, dove i tubi del gas spiegano solo in parte quel che accade. Il luogo dove si aggregano tendenze e mentalità opposte: l’atlantismo duro e puro dentro e fuori Bruxelles, il timido tentativo europeo (Germania in testa) di sganciarsi da certe tutele e l’interesse nazionale russo. In Ucraina, anche se sembra il contrario, Mosca sta combattendo una battaglia difensiva, volta al mantenimento della sua sfera d’influenza nel cosiddetto “estero vicino”, lo spazio ex sovietico. La Guerra Fredda è ancora in piedi sotto altre forme.
Inoltre c’è un gruppo di Paesi europei, noto come Partnership Orientale, guidato da Polonia e Svezia, che opera dal 2010 per cercare di avvicinare all’Ue ed alla Nato gli Stati ex sovietici che ne sono ancora al di fuori.
L’Europa, per il momento, ancora si articola in una molteplicità di Stati sovrani nella sfera della politica estera e di sicurezza, ciascuno dei quali ha una propria visione degli interessi nazionali. L’Italia, ad esempio, non ha la stessa percezione della Russia che prevale a Varsavia o a Budapest.
Nei mesi scorsi è ripresa la pressione polacca e dei baltici ed i tedeschi vi si sono accodati, dandole ben altra solidità facendo arrabbiare gli americani. Di qui, quasi certamente, i commenti acidi dell’ambasciatrice americana Victoria Nuland. C’era in ballo non solo Kiev ma anche l’influenza sull’intera Europa orientale.
Gli Stati Uniti non sopportano questo silente attivismo politico della Germania, spesso imprevedibile e fuori dagli schemi.