Viviamo un periodo storico dove lentamente si impone una tirannia delle minoranze, vere o false che siano, nuove piccole e aggressive lobby sessuali, etniche, religiose, si sono impossessate di una “mandato sociale” e lo esercitano arbitrariamente in nome e per conto di una società civile, espressione di copertura di una miriade di gruppi che rivendicano la difesa e il riconoscimento di capricci individuali spacciati per diritti.

Gli acronimi LGBTQ, LGBTQI, LGBTQIA, LGBTQIA+, LGBTQQIA+ sono oggi utilizzati per designare sinteticamente l’insieme delle minoranze sessuali, cioè tutte le persone che per orientamento sessuale, identità e/o espressione di genere, caratteristiche anatomiche, non aderiscono agli standard del binarismo dell’eterosessualità – ossia alla netta divisione della specie umana in maschi e femmine, con corrispondenza dell’identità di genere al sesso biologico e, con desiderio verso le persone di sesso opposto al proprio. L’uso di queste sigle conferisce coesione ai movimenti e alle comunità delle minoranze sessuali, veicolando l’idea che esse abbiano esigenze comuni, tanto da costituire un unico gruppo sociale.

Nel 1975 l’antropologa Gayle Rubin e altri esponenti del pensiero femminista estremo, han-no definito il genere come una costruzione culturale totale, strumento di oppressione dell’uomo sulla donna. Nel tempo si sono aggiunti altri studiosi come Judith Butler, attiva nella ridiscussione del concetto di genere. Un’idea molto criticata all’interno dello stesso movimento perché contiene un odio malcelato verso il maschio. Partendo dall’assunto che il genere non sarebbe forgiato sul sesso, ma effetto di un condizionamento esterno, si pretende di eliminare ogni discriminazione progettando una società senza generi.
La parola chiave di questo discorso è “decostruzione”. Prima, si “costruisce” il genere artificiosamente secondo le proprie inclinazioni e poi si decostruiscono tutti quei processi socialmente riconosciuti come indicatori del genere. Prima l’individuo si “emancipa” dalla na-tura e poi si “rompe” con l’ordine sociale.

Il genere viene superato dal transgender, lemma che definisce tutti coloro che si posizionano al di fuori della dicotomia maschio-femmina. Si pongono al di là, come suggerisce il prefisso trans. Diverso dal transessuale che invece, opera un cambio di sesso attraverso un percor-so che culmina nella pratica chirurgica e fa una scelta precisa. Il transgender si sottrae a ogni assegnazione identitaria, ma cade in contraddizione perché per definirsi, invoca qualcosa che per lui non esiste, ovverosia, il “genere”.

La disintegrazione del concetto di genere, viene associata a un pensiero della liberazione dalle convenzioni sociali, utile, secondo i propugnatori, alla tutela delle “differenze”. Ma se tutto è indifferente, espressione solo di nuove interpretazioni culturali, c’è solo una realtà uniforme dove, nessuno è portatore di valori, ma solo di marchi culturali, dettati dalle mode e dal marketing. I propugnatori di queste teorie si sono alleati con alcuni ambienti dell’area politicizzata LGBTQ, col chiaro intento di creare confusione, attraverso le rivendicazioni di nuovi diritti.

La difesa dell’identità di genere, nulla a che vedere con l’orientamento sessuale, con l’amore tra persone dello stesso sesso e tantomeno con le parate colorate del gay pride. Certo, affermare che l’anatomia determini una qualche forma di destino è esagerato, ma non si può negare il dato essenziale del corpo umano originariamente sessuato. Viviamo nel mondo come uomini e donne, dissimili nel modo di accogliere e interpretare la realtà. Una diversità da tutelare e proteggere a ogni costo.
Chi critica ferocemente l’idea del maschile e femminile come una “struttura” da smontare, è marchiato come un integralista puritano. Ma i veri puritani sono loro che con l’alibi progressista, mascherano l’odio verso l’eros e il desiderio di una neutralità asettica senza pas-sioni.

I gruppi lgbtq+ e simili, delimitano il campo dell’interdizione fino alla ripulitura del linguaggio come forma di controllo sociale. Il tutto garantito dalla complicità politica a più li-velli e soprattutto da una grande soggezione. Si viene colpiti da qualche anatema quando si affrontano determinanti argomenti senza reticenze: la netta distinzione tra maschile e femminile, tra identità reale e percepita, è materia incandescente.

Il vittimismo permanente che accompagna queste rivendicazioni, l’introduzione di parole come transfobia, bifobia per fare qualche esempio, serve a inventare qualche nuova discriminazione da mettere sulla scena. Una molteplicità di soggettività lamentose vuole rove-sciare il senso, invertire il vero con il falso per affermare il proprio dominio.