Il 2020 è partito a razzo, quello degli americani che nella notte del 3 gennaio ha colpito l’auto del generale iraniano Soleimaini in missione a Baghdad. Il 5 gennaio l’Iran ha annunciato che non rispetterà nessun impegno preso in precedenza con la comunità internazionale riguardo allo sviluppo del nucleare; lo stesso giorno, su altro fronte rovente, il presidente turco Erdogan confermava che i soldati turchi erano sulla via della Libia per assistere il governo di Al Serraj a Tripoli. Il giorno successivo le truppe del nemico di Serraj, il generale Haftar (sostenuto da Russia ed Egitto) prendevano il controllo di Sirte. Intanto l’Iran ha sparato missili su una base americana in Iraq ad Ain Al-Asad, la tv iraniana ha parlato di morti, gli Stati Uniti dicono che non ci sono soldati americani uccisi anche perché erano stati preavvertiti e messi in sicurezza.

Il copione è rispettato: siamo in uno scenario di guerra a bassa intensità, ad ogni azione corrisponde una reazione. Il conflitto ha un linguaggio definitivo e una combinazione di elementi razionali e irrazionali. C’è chi pensa al 1914 e alla pistolettata di Sarajevo. Andrà così? Difficile dirlo, la storia prende sempre direzioni inaspettate. Tralasciando per il momento lo scenario libico, in Medio Oriente accade quel che più o meno succede da un secolo: una lotta spietata per il predominio di una zona strategica e ricca di risorse. Sono cambiati gli attori, ma non gli interessi.

Gli Stati Uniti non posso permettersi troppi cedimenti, è la loro vocazione imperiale: forza repentina, tecnologia, presenza militare diffusa, servizi d’intelligence ramificati, capacità di intimidazione delle potenze avversarie.

Nel Medio Oriente l’Arabia Saudita è il migliore alleato di statunitensi e i britannici (in posizione più defilata) e si contrappone ferocemente alle ambizioni dell’Iran patria spirituale dei musulmani sciiti che rivendica maggiore spazio e intanto posiziona milizie e pedine in Libano (Hezbollah), in Iraq e in Siria nelle zone dove ancora si combatte il terrorismo islamista.

Di alcune cose siamo certi

– Sono tornati gli imperi, l’onda lunga dell’identità storica plasma il presente e il futuro. Il giovane impero, gli Stati Uniti, il Celeste Impero, la Cina, l’Impero dello Zar, la Russia, l’Impero Ottomano, la Turchia e la Grande Persia, l’Iran.Tutti giocano una partita per difendere interessi e spazi vitali.

– L’Europa continentale è inadeguata sul piano militare, bravi come al solito nel vaniloquio inconcludente.

– Le nazioni che pesano e hanno un futuro sono quelle pronte a combattere, con soldati addestrati, motivati e con l’età giusta per andare in battaglia.

– La forza militare deve essere combinata alla capacità di sostenere la guerra su due livelli: quello finanziario e quello della durata.

– La capacità economica subisce l’influenza di un altro fattore decisivo: la reazione dell’opinione pubblica di fronte alla morte.

Siamo agli albori di un mondo multipolare? È presto per dirlo, sicuramente le potenze in competizione non hanno tutte la stessa forza, a dimostrarlo il colpo a sorpresa del Presidente Trump.

Intanto, si scatenano le solite critiche contro l’approccio muscolare degli Stati Uniti come se fosse una novità, peraltro non dissimile dalla “politica delle cannoniere” dell’Europa dell’Ottocento. C’è chi invoca l’ordinamento internazionale, facendo finta di non sapere che esso è per sua natura anarchico e condizionato dal peso specifico delle nazioni.

C’è poi tutta la critica complessa e articolata dei vari schieramenti antagonisti, eurasiatisti, comunitaristi e idealisti assortiti. In particolare si rimprovera agli Stati Uniti d’America un atteggiamento arrogante capace soltanto di esacerbare i conflitti, piuttosto che di risolverli, mentre si attribuisce a Cina e Russia un approccio diplomatico che sarebbe più idoneo a garantire pace e stabilità. Non bisogna farsi ingannare.

I Cinesi aggrediscono interi settori produttivi nei paesi dove investono e la loro penetrazione in Africa e nell’Europa meridionale non è improntata all’assistenza sociale.

La Russia ha dimostrato di saper usare in maniera molto convincente la forza, qualora la potenza americana sia impossibilitata a reagire o per ristabilire un equilibrio politico alterato come è successo in Siria. Tuttavia per i russi sarebbe molto complicato, per motivi strettamente finanziari, mobilitarsi su più fronti contemporaneamente. L’atteggiamento conciliante di Putin, il suo equilibrio di fronte alla vicenda dell’attentato contro Soleimaini, è la dimostrazione dei limitati movimenti della Russia nello scacchiere internazionale: Mosca non può, almeno per ora, reggere alcun confronto armato con gli Stati Uniti d’America.

I rabbiosi richiami alla legalità internazionale provengono da coloro che non hanno la forza sufficiente per romperla impunemente. Gli Stati Uniti sono ancora l’unica superpotenza in grado di fare e disfare a piacimento. Non saranno le strategie degli oleodotti o complicate tattiche diplomatiche di Mosca e Pechino a spezzare questa supremazia, quando basta qualche missile per vanificarle.

Comprendere questo dato della realtà non significa abbandonarsi ad infatuazioni filo-atlantiche, il colpo inferto all’Iran è una botta di realismo, le reazioni isteriche dei teorici delle “nuove sintesi” mette in crisi tutti coloro che pensano a un declino americano da qui a breve. Invece di continuare con la geopolitica del bosco incantato dove i sogni si avverano, è tempo di una robusta Real Politik.