Ungern Sternberg disegnato da Hugo Pratt

 

Questa è la storia di un uomo che il tramonto dell’Occidente lo portava nel sangue, gli scorreva nelle vene come una malattia. Sangue che nella sua vita fece scorrere a fiumi, combattendo con un pugno guerrieri nel cuore dell’Asia. È la storia di un soldato che intuì il tramonto, come si intuisce una patologia mortale o la traiettoria di una pallottola. E al crepuscolo sentì il dovere di ribellarsi. Vide con chiarezza le negatività del futuro e quella corrusca visione lo spinse a combattere un’impresa impossibile, “alla ricerca delle nostre follie e delle nostre glorie”, come gridava andando alla carica.

La vicenda di Roman Fiodorovic von Ungern Sternberg è quella di un uomo che volle opporsi al declino di una civiltà con un’armata di cavalieri selvaggi, inseguendo il sogno di una nuova utopia. Una storia che è già stata raccontata tante volte. Ha affascinato filosofi, avventurieri, scrittori e sognatori della politica. Non aveva la visione d’insieme né la cultura sottile di Oswald Spengler, mai avrebbe saputo sintetizzare la guerra dei mondi e delle civiltà in un pensiero organico, ma dello scrittore tedesco condivideva il sangue teutonico e la vena melanconica. Il barone Ungern Sternberg mise insieme un’armata a cavallo e lasciò dietro di sé una scia di sangue e profezie, tra le steppe della Mongolia e della Siberia, nel tentativo folle e generoso di fondare un nuovo Impero, anzi secondo le sue parole «per sradicare il male giunto sulla terra per annientare il principio divino nell’animo umano».

Nato a Graz nel 1885 in una famiglia baltica di antico lignaggio cavalleresco (ma le fonti non concordano, secondo altri sarebbe nato nel 1886 in Estonia, sull’isola di Dago), studiò all’Istituto navale di Pietroburgo e approdò a un reggimento di cavalleria cosacca. Della sua tormentata giovinezza si sa che ebbe modo di viaggiare in Mongolia e Cina e nella vecchia Europa prima di combattere con gli eserciti dello Zar sui Carpazi e di unirsi, allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, alle armate bianche di Semenov che si opponeva all’avvento dei bolscevichi al potere. Lo seguì fin nel cuore dell’Asia, salendo fino al grado di generale e proprio in quelle terre selvatiche, iniziò a prendere forma il suo disegno politico. La storia ha i contorni della leggenda e dell’oblio. La prima cronaca è quella di un personaggio altrettanto irregolare, anche se assai meno tragico, Ferdinand Ossendowski, ingegnere e poligrafo polacco, avventuriero e ministro controrivoluzionario dell’ammiraglio Kolchak.

Ossendowski lo seguì a lungo e fu il primo a narrare le gesta del barone in “Uomini, bestie e dei” un libro importante, come certi libri dal destino carsico, molto amato da René Guenon e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1922. Nel 1938 uscì in Germania la biografia romanzata scritta da Berndt Krauthoff, “Ich befehle. Kampf und Tragoedie des Barons Ungern Sternberg” (Io comando. Battaglia e tragedia del Barone Ungern Sternberg) ispirato dalle testimonianze di Essaul Makejev, autore di un altro libro nel 1926. Nel 1973 Jean Mabire, giornalista francese, scrisse un romanzo sulle imprese e la personalità del generale intitolato “Ungern le baron fou”, ripubblicato dalle edizioni di Ar con il titolo Il Dio della guerra.