Nelle cinque contee che compongono il cuore della Britannia – Yorkshire, Lancashire, Cheshire, Derbyshire e Nottinghamshire – c’è un territorio triangolare ancora “marchiato” dalla leggenda di Robin Hood. Nel tardo XIII, nella città di Wakefield, nacque un tal Robert Hode (Robin Hood), figlio di un boscaiolo che si unì al conte Thomas di Lancaster per combattere contro le politiche di disboscamento promosse dalla monarchia inglese per adibire quelle terre al pascolo. La leggenda di Robin Hood e dei suoi Merry Men in lotta contro i soprusi del Re, al riparo nella foresta di Sherwood, riapparve molti secoli dopo, nel primo decennio del XIX secolo, nelle lotte del movimento “luddista” contro le storture della prima industrializzazione. In quel periodo, la vita di migliaia di tessitori, cardatori, conciatori di lana e artigiani del cotone, venne sconvolta dall’arrivo delle nuove macchine industriali. Dopo aver lavorato per secoli fuori dalle proprie case o nelle piccole botteghe di villaggio, in piena libertà, con macchinari manovrati da un solo uomo, improvvisamente dovettero assistere all’introduzione di nuove e complesse attrezzature, sistemate in grandi edifici che sorgevano nelle loro valli.
Decisero di sollevarsi contro tutto ciò, non per un sentimento passatista ma contro quella tecnologia “nociva” che scardinava un ordinamento sociale fondato su arte, comunità, tradizione e tempo libero. L’industria stava deformando città e campagna ed essi avvertirono subito la sensazione che tutto stesse sfuggendo dal loro controllo.
La prima azione avvenne il 4 novembre 1811, nel villaggio di Bulwell a poche miglia da Nottingham. Quella notte un gruppo di individui con il volto tinto di nero, armati di asce e martelli, assaltarono un’industria tessile, spaccando i macchinari per poi dileguarsi nell’oscurità. Da quel giorno e per quindici mesi, minacciarono il nuovo ordine economico, con attacchi feroci, organizzati ed efficaci. In una delle prime lettere di rivendicazione scrissero: “dal covo di Robin Hood, Foresta di Sherwood”, ma poi apparvero lettere e manifesti firmati “Ufficio di Ned Ludd, oppure “Generale Ludd”.
Ma chi era costui? Si è propensi a credere che si tratti di uno pseudonimo utilizzato dai gruppi che tra il 1811 e il 1812, rivendicarono gli attacchi alle fabbriche. Ecco perché li conosciamo con il nome di “luddisti”. La parola potrebbe ricordare l’espressione della Cornovaglia, sent all of a lud, che significa “rimanere stordito”, rovinato, oppure la parola dell’antico inglese loud, “rumoroso”.
I luddisti non furono degli ottusi demolitori. La macchina industriale e la tecnologia in senso lato, non furono mai il vero obiettivo, ma solo ciò che rappresentavano: la prova tangibile per gli uomini, di essere soggiogati da forze incontrollate che spezzavano i ritmi di vita, piegandoli alle esigenze della produzione, allontanandoli dalla vita comunitaria e disperdendo un patrimonio di saperi che si trasmetteva attraverso l’apprendistato. Gli uomini erano subordinati della macchina e non più i padroni dello strumento e la fabbrica era il luogo dove si “rompevano” gli antichi legami comunitari e pertanto, il simbolo fisico di quella “rottura” andava frantumato.
Le azioni luddiste nella fase più recrudescente e organizzata, tra la fine del 1811 e l’inizio del 1813, assunsero i tratti dell’insurrezione tanto che il governo britannico dovette reagire con estrema violenza. Il territorio fu presidiato dall’esercito e si arrivò persino ad applicare la pena di morte per chi danneggiava le fabbriche e questo consentì lentamente il ritorno alla calma. I motivi della rapida ascesa e dell’altrettanto veloce declino del movimento luddista, sono difficili da spiegare solo con la repressione militare. In un certo senso, il luddismo in quei quindici mesi di fuoco, aveva chiarito la propria posizione, lasciando un segno indelebile. Si trattò di un urlo di protesta e disprezzo, capace di attacchi spettacolari ma incapace di organizzarsi politicamente. Resta però un interrogativo. Mentre la saga di Robin Hood viene celebrata al cinema e nella letteratura, sul luddismo c’è una forte reticenza. Al massimo lo si classifica come una reazione nostalgica, cosa che peraltro non fu. In un’epoca dove la tecnica ha assunto un dominio a tratti incontrollato, forse, il loro messaggio di libertà è ancora valido.