Gli uomini hanno sempre sperimentato sostanze psicoattive. Diversi sono gli esempi di arte rupestre che mostrano rituali con l’uso di vegetali allucinogeni. Secoli dopo, a partire dal 1500 a.c., i riti religiosi che si celebravano ogni anno nel tempio di Demetra nella città di Eleusi, probabilmente prevedevano l’induzione artificiale delle visioni mentali.  L’alterazione degli stati di coscienza è una costante nella storia delle civiltà, non solo nei culti rituali ma anche per anche nelle occasioni ludiche. Nell’Odissea si parla di una pianta offerta da Ermete a Ulisse per prevenire le magie di Circe. Quale fosse il misterioso vegetale non è dato saperlo: c’è chi l’ha identificata con la mandragora e chi con la ruta siriaca. Invece, nell’Isola dei Lotofagi, gli abitanti usavano il loto per perdere la memoria, associato al mephente«un farmaco che l’ira e il dolore calmava», probabilmente identificabile nel papavero da oppio.

Oggi l’assunzione di tali sostanze, è quasi esclusivamente dettata da un desiderio edonistico, spogliato da qualunque riferimento al sacro e al comunitario. A metà Ottocento, Thomas De Quincey, «conquistava il paradiso al primo assalto», visitando una farmacia, come da un odierno spacciatore. Così, il saggista inglese definiva, nel 1822 lo scopo delle sue Confessioni di un mangiatore d’oppio: «Rivelare parte della grandiosità che è potenzialmente insita nei sogni umani». In Suspiria de Profundis, Quincey risale alle cause sociali della diffusione delle droghe, che secondo lui sono da ricercare nell’urbanizzazione spinta che toglie all’uomo ogni possibilità di solitudine, presupposto della facoltà di sognare, senza la quale l’individuo si sente limitato. Nella produzione letteraria dell’Ottocento e del Novecento, sono presenti numerose testimonianza di alterazioni chimicamente indotte. Alcuni autori cercheranno di descrivere razionalmente la gamma degli effetti fisici di ciascuna sostanza, facendo da cavia (Baudelaire, De Quincey, Benjamin, Jünger, Huxley etc.), assumendo hashish, mescalina, oppio e altre sostanze.

 Il tentativo è di spiegare attraverso la parola queste esperienze visionarie. «Vedevo – scrive Aldous Huxley in Le porte della percezione, riguardanti l’esperienze con la mescalina, «ciò che Adamo aveva visto la mattina della sua creazione: il miracolo, momento per momento, dell’esistenza nuda». «È piacevole?» chiese qualcuno. «Né piacevole, né spiacevole risposi – è». 

 Istigkeit è il termine utilizzato per descrivere lo stato di alienazione prodotto dalla mescalina. “Essenza”. «L’essere della filosofia platonica, solo che Platone sembra aver fatto l’enorme e grottesco errore di separare l’Essere dal divenire, identificandolo con la matematica astrazione dell’Idea. Egli non avrebbe mai potuto vedere, pover’uomo, un fascio di fiori brillare di luce interiore e palpitare sotto la pressione del significato di cui erano saturi». In Occidente ogni residuo di sacro è presente solo all’interno di una schema rituale monoteistico che rifiuta forme di ascesi e riaccende la controversia tra attivi e contemplativi. «La mescalina induce alla contemplazione, ma a una contemplazione incompatibile con l’azione e anche con la volontà di agire, con lo stesso pensiero di agire» – scrive sempre Huxley. 

Altri scrittori-sperimentatori come William Borroughs su questi temi evitano un stile saggistico, dove ogni adulterazione psichica viene descritta all’interno di una dissertazione articolata. In Pasto nudo, l’autore americano si limita a registrare cosa accade, senza la paura di non poter trovare le parole adatte per riferire questi stati mentali.  Borroughs redige un lungo elenco di situazioni dominate dalla ricerca spasmodica dell’eroina, una narrazione disordinata, con scene schizofreniche e shock improvvisi. Tutte situazioni molto intense che vogliono semplicemente affermare la dura verità: la vita devastata e le peripezie di un tossicodipendente che vuole soddisfare il proprio bisogno. Quello delineato è un eterno presente, lo sguardo sulla insensatezza del mondo che appare al tossico, in una serie infinita di luoghi: ospedali, aule di tribunale, camere d’albergo, gabinetti pubblici, bar putrescenti, e la cintura periferica della città «dove tutte le potenzialità umane si distendono in un vasto mercato silenzioso».