Ora l’attenzione è tutta rivolta alla Crimea, penisola sul Mar Nero collegata alla terra ferma da un piccolo lembo di terra lungo appena cinque chilometri. Storicamente abitata da molte popolazioni fin dall’antichità, i greci la chiamavano Chersonesos Tauriké (cioè Penisola dei Tauri), dal nome dei suoi conquistatori. In quelle terre visse il mitico popolo degli Sciti e nel Medioevo le navi veneziane e genovesi attraccavano nei porti di Crimea. Poi arrivarono i mongoli e diventerà Khanato di Crimea, abitato dai Tatari, gruppo etnico turcofono e musulmano sunnita, fino alla conquista e al dominio ottomano che terminerà solo alla fine del XVIII secolo.

Infatti la Crimea è parte integrante della storia russa da quando nel 1783 fu annessa all’impero durante il regno di Caterina la grande. La maggioranza della popolazione è di etnia russa, ma il territorio ha sempre conservato un profilo multinazionale.
Fu nel 1854-55 con l’accanita difesa opposta dalla città-fortezza di Sebastopoli all’assedio franco-britannico che la Crimea divenne un’icona del nazionalismo russo. Lev Tolstoj che frequentava quelle terre, scrisse in quel periodo i “Racconti di Sebastopoli” proprio sul conflitto. Nel fango del campo di battaglia intravedeva i segni del carattere russo: semplicità, ostinazione e spirito nazionale – “A lungo questa epopea di Sebastopoli lascerà in Russia tracce profonde. Ed eroe di questa epopea è stato il popolo russo”.

La storia ritorna prepotente e non è un caso che l’epicentro della crisi politica delle scorse settimane si è spostato da Kiev alla penisola di Crimea, dove vivono due milioni di persone in maggioranza russofoni. Così è ripreso il “Grande Gioco” narrato da Peter Hopkirk e il campo di battaglia è ancora una volta lo spazio euroasiatico dove si consumal’eterno conflitto per la conquista di quello che la geopolitica descrive come il “cuore della terra”.

Nel 1954 Nikita Krusciov regalò la penisola all’Ucraina per celebrare i trecento anni di unione con la Russia. I maligni dicono che firmò quell’atto mezzo ubriaco, ma comunque, ai tempi dell’Urss si trattava di un semplice cambio di giurisdizione amministrativa. I primi malumori cominciarono nel 1991 dopo la dissoluzione sovietica e l’indipendenza dell’Ucraina. Il desiderio di indipendenza si rafforzava, tanto da concedere alla Crimea lo status di repubblica autonoma dentro l’Ucraina.

Il trattato di amicizia e cooperazione firmato tra Russia e Ucraina nel 1997, impegnava Mosca a non avanzare alcuna pretesa territoriale sul territorio dell’ex repubblica sovietica e in cambio, Kiev cedeva in affitto ai russi il porto di Sebastopoli. In questa città piena di valore simbolico, è stanziata una delle quattro flotte della Marina militare russa, con circa 11mila effettivi e 60 navi, in gran parte dislocate a Novorossiysk, nel confine russo. L’importanza della Crimea è soprattutto nella base diSebastopoli che consente alla flotta russa di accedere velocemente al Mar Mediterraneo, ai Balcani e al Medio Oriente, in una posizione poco distante dai turbolenti territorio del Caucaso.



A distanza di appena un decennio le condizioni politiche sono cambiate e la Russia non può permettersi ai suoi confini un paese troppo allineato su posizioni filo-atlantiche. Per questo motivo non si può liquidare la reazione della Russia come una semplice esibizione di forza. Putin vuole coagulare un polo geopolitico sovrano a guida russa nella gran parte dello spazio post-sovietico, recuperando il bacino demografico, industriale ed energetico dell’Asia centro-occidentale già bolscevica. Siamo sempre di fronte allo stessa esigenza che è quella di definire un equilibrio tra potenze concorrenti. Gli Stati Uniti non possono invocare ipocritamente la legalità internazionale quando essi sono i primi a mettersela sotto i piedi. Bentornata Politica.