Esiste una rete mondiale di istituzioni finanziarie e centri di potere extra-statali stratificatisi nel corso dei decenni che sembrano non avere più connessioni con l’economia reale. Questo sistema costituisce un organismo autonomo, con proprie logiche e in grado di controllare la massa monetaria e il destino economico. Non è un monolite, all’interno di esso ci sono orientamenti differenti, ma chi pensa di colpirlo e disarticolarlo con qualche buon risultato elettorale, convogliando il dissenso in un partito, confonde realtà e finzione, vive in un romanzo fantasy dove i buoni alla fine vincono sempre. Tra le file dei movimenti “sovranisti” la rassicurante allucinazione che presto o tardi il sistema si può colpire e affondare occupando un po’ di posizioni nei palazzi delle istituzioni politiche, rimanda a un pensiero primitivo. C’è una rabbia giustificata perché negli ultimi trent’anni, gran parte delle competenze e della capacità decisionali sono state delegate ad organismi non elettivi e tecnocratici come le banche centrali, le corti costituzionali, le agenzie amministrative, le burocrazie sovranazionali. Gran parte delle politiche che influiscono nella vita dei cittadini sono espressione di un lungo processo multilivello innescato in parte da tecnocrati e burocrati sovranazionali e nazionali, in parte minore da quei rappresentanti scelti alle elezioni. Soprattutto nella politica economica, le scelte partono da livelli molto alti, da istituzioni assai distanti. Di per sé questo meccanismo non si può giudicare secondo le categorie morali di bene e male. 

L’esplosione incontrollata delle attività finanziarie e la velocità con cui si disintegrano le frontiere, si regge anche attraverso un’ideologia mondialista promotrice di una mutazione antropologica e una omologazione culturale e sociale diffusa, temibile e complicata da contrastare. In conseguenza di ciò, le oligarchie finanziarie assumono in realtà la forma di conglomerate trasversali e transnazionali con partecipazioni incrociate, risultando veri e propri imperi dotati di strutture decisionali, di capacità finanziaria autonoma, di cultura manageriale. Il baricentro di questo potere è dinamico, fluisce e si sposta di continuo, non coincidendo con alcun soggetto fisico o giuridico attaccabile frontalmente. Pensare di agire individuando qualche facile capro espiatorio, dimostra insipienza e la scarsa predisposizione a capire che sullo scenario europeo e mondiale, gli attori agiscono secondo una strategia dove la distinzione tra amico e nemico non è netta. 

Non bisogna cedere al pessimismo. Si possono attivare degli inneschi per avviare una lenta contro-tendenza ma per farlo bisogna insistere su sempre sulle stesse cose: l’elaborazione metapolitica per formare un’avanguardia politica, lo studio come base per immaginare un’altra società e un’economia che non sia la semplice rincorsa al brontolio materialista. C’è un interrogativo eluso soprattutto negli ambienti della destra sociale: fino a che punto si può ritoccare e aggiustare un modello economico paranoico basato sul superfluo e sul consumo a debito? Direi di partire da qui, scavando in profondità per frantumare alcune certezze.