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Tag: Siria

Sulla Siria il solito castello di bugie

Il conflitto in Siria è ridotto a poche porzioni di territorio dove sono asserragliate le milizie islamiste che qualcuno si ostina ancora a presentare come opposizione moderata. L’unica guerra che si combatte su vasta scala è quella dei media occidentali. Il web viene intasato di notizie spesso manipolate e distorte a senso unico, dove l’unica verità è il sangue delle vittime di rappresaglie, pestaggi, bombe ed esecuzioni sommarie. È la guerra dell’informazione condotta da principali media che però, questa volta, non è riuscita ad ottenere il risultato sperato, accompagnare la caduta del governo di Damasco. Sul terreno siriano non c’è stata semplicemente una massiccia infiltrazione di miliziani armati dalle potenze straniere, ma si è sperimentata una tecnica di guerra mediatica, fatta di propaganda di parte, esagerazione di eventi, alterazione dei numeri, dentro un mercato becero di immagini in stile horror.

Le notizie che contano, quelle che servono a impressionare, vengono estratte dal territorio e affluiscono su piattaforme digitali che provvedono a canalizzarle sul Web. È così è tutto un profluvio di video truculenti dei massacri nelle aree non ancora ripulite dall’esercito siriano: decapitazioni, crocifissioni di “infedeli”, presunti attacchi chimici, esibizioni muscolari da parte di gruppi autoproclamatisi ribelli.

La rappresentazione distorta del conflitto siriano

Nel conflitto siriano non ci sono soltanto le armi e i morti, ma si lotta anche sui mass media. La cronaca del conflitto viene spesso manipolata con informazioni distorte e nutrita con vittime vere di rappresaglie armate, pestaggi, attentati ed esecuzioni sommarie, le cui immagini stanno intasando il Web. E’ la guerra dell’informazione condotta da principali media occidentali che però, questa volta, non è riuscita ad ottenere il risultato sperato, accompagnare la caduta del governo di Damasco.

I siriani si sono visti piombare non solo una masnada di guerriglieri fanatici armati dai servizi di sicurezza delle principali potenze europee (francesi e inglesi in testa), ma hanno corso il serio rischio di perdere la propria nazione, con il suo formidabile patrimonio culturale e multiconfessionale costruito nei secoli. Se nella prima fase, quando lo scontro era solo a livello politico, la tentazione di molti è stata quella di mandare a casa Assad e sperimentare qualcosa di nuovo, ci si è presto resi conto che un cambio di regime avrebbe gettato il paese in un disordine tremendo, come quello che stanno vivendo in Libia.
Sul territorio siriano non c’è stata semplicemente una massiccia infiltrazione di miliziani armati dai potenze straniere, ma si è sperimentata una tecnica di guerra mediatica, fatta di propaganda di parte, esagerazione di eventi, manipolazione dei numeri, all’interno di un mercato becero di immagini in stile horror.
Le notizie che contano, quelle che servono ad impressionare vengono estratte dal territorio e affluiscono su piattaforme digitali che provvedono a canalizzarle sul Web. È così è tutto un profluvio di video truculenti dei massacri nelle aree non ancora ripulite dall’esercito siriano: decapitazioni, crocifissioni di “infedeli”, presunti attacchi chimici, esibizioni muscolari da parte di gruppi autoproclamatisi ribelli.

Poi, quando il fenomeno mediatico si ingigantisce e alla notizia subentra la manipolazione gli esiti sono spesso grossolani. Fin dall’inizio, sui blog è risuonata un’incredibile sinfonia di propagandisti. Vi ricordate “gay girl in Damascus”, la povera ragazza arrestata dalla polizia siriana per aver partecipato ad una manifestazione contro il governo? Dopo gli appelli internazionali per la sua liberazione, si scoprì che la storia era stata inventata da un quarantenne americano, Tom McMaster. Siamo nel giugno del 2011. La frode avrebbe dovuto suggerire cautela. Invece sono spuntati nuovi eroi e militanti politici con i loro racconti degni di una sceneggiatura da serie televisiva.

Danny Dayem era un giovane siriano cresciuto in Inghilterra con una faccia pulita che attirava credito e trovava spazio sui grandi canali d’informazione (BBC e Cnn). Esempio tangibile di cittadino giornalista, l’eroico Danny era tornato nella terra natia, aggirandosi in uno scenario di morte e distruzione. Danny con la voce rotta dall’emozione raccontava i bombardamenti governativi e i massacri di civili non meglio identificati. Nel febbraio 2012 descriveva l’assedio di Homs, ma un errore del cameramen della CNN, ci fece scoprire che le riprese avvenivano in un luogo sicuro con effetti sonori e immagini manomesse. Sarà la stessa CNN, non nuova a queste fabbricazioni, a costringere il coraggioso Danny a dichiararsi un impostore. Con il passare del tempo, nel conflitto siriano con i suoi esiti imprevedibili, come il deciso intervento politico della Russia a difesa di Damasco, si sono segnalate altre finzioni (fabbricate sulla pelle della gente) che sono finite per sovrapporsi ai fatti. C’è ancora chi si ostina a distinguere nel settore dell’opposizione armata una parte buona e una cattiva mentre, salvo rare eccezioni, il governo siriano è stato sempre accusato di “gravi violazioni”.
Con i terroristi dentro casa, i metodi possono essere solo sbrigativi e purtroppo i danni collaterali sono inevitabili. A chi spara non si risponde con il dialogo politico, ma con l’artiglieria. Questa rappresentazione mediatica di fondo è diventata un magnete per i fanatici della guerra santa, per l’attrazione morbosa che suscita questo flusso continuo di video raccapriccianti. I media quando diventano armi, creano confusione e fanno della manipolazione un elemento strutturale.

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