François Jullien, filosofo e sinologo famoso per gli studi comparatistici sul pensiero europeo e cinese, anni fa dichiarò: “Mi sono sempre più convinto che se cerchiamo le categorie decisive del pensiero europeo, è in Omero che occorre farlo, molto prima di Platone”. L’Iliade e l’Odissea sono il nucleo della civiltà europea, della nostra letteratura e parte del nostro immaginario. Passano i secoli e le domande esistenziali sull’essere e sul senso della vita sono ancora lì e Omero, offre una prospettiva all’uomo europeo, aiuta a distinguere la nostra civiltà dalle altre. Se vogliamo ritrovare la fonte originaria dell’identità europea, la troviamo nell’Iliade e nell’Odissea. Siamo confusi e turbati dai cambiamenti provocati dal dominio della tecnica, dalla mutazione degli stili di vita, della religione, vediamo il decadimento e mentre degradiamo verso un mercantilismo senz’anima, Omero è la bussola arcaica che ci consente di orientarci in mezzo al disordine. Iliade e Odissea esprimono l’originalità del nostro stare nel mondo, il nostro modo di essere uomini e donne, di fronte alla vita e alla morte, in rapporto con la comunità e il destino. Insomma, il contenuto della nostra esistenza. Le storie di questi antenati così lontani e così affini, mostrano un’ideale di vita che agisce sulla parte migliore di tutti i popoli europei: greci, latini, celti, germani, slavi. Ci dicono tutto su coraggio, speranza, gioia e dolore. L’avventura in un mondo bello e inquietante, il coraggio stoico dinnanzi all’ineluttabile, il fascino di ciò che è nobile e bello, il disprezzo per la bruttezza. Omero non illustra teorie, mostra esempi concreti, insegna le qualità giuste per essere uomini e donne, dotati di forza d’animo e coraggio. Saggi e attenti, giovani e talvolta impetuosi. Le azioni dei personaggi non sono valutate sulla base di categorie astratte, come di un bene o di un male morale assoluto, ma secondo coordinate come generosità, equità, astuzia, indegnità, abiezione. Da Omero ricaviamo il rispetto per la sacralità della natura, l’eccellenza come ideale di vita, la bellezza come orizzonte. In un celebre passo dell’Iliade, il poeta descrive la falange achea: “Come siepe stipando ed appoggiando, scudo a scudo, asta ad asta, ed elmo ad elmo, guerriero a guerriero”. Non è la semplice descrizione di una formazione militare, ma l’espressione di quella comunità solidale e organica, in cui ogni individuo può contare sull’altro, dove la diserzione altera quell’unità indissolubile. Non uno sciocco contratto sociale materiale, ma un patto tra uomini liberi che accettano dei doveri in funzione di un ideale più grande, con la tribù, la polis e la falange. Al centro dei poemi omerici ci sono l’armonia degli uomini con l’ordine cosmico, lo sforzo di ricongiungersi con la propria parte divina, il contare principalmente su stessi e le proprie forze. Immagini potenti, parole di un suono che sono in grado di comprendere solo gli europei di antica tradizione.
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Ogni grande idea politica attinge alle sorgenti di fede e si fonda su una intuizione del mondo che precede ed eccede ogni fondazione razionale. La qualità del ceto politico si misura nella dedizione con cui serve una causa, dalla lungimiranza e da una visione politica in grado di misurarsi con l’orizzonte del possibile. L’Europa può diventare un grande polo di un ordine mondiale basato su nuovi equilibri, lo è in potenza, purtroppo non lo è ancora nella sostanza. Qualcosa si intravede ma non basta, quell’aggregato chiamato Unione Europea non sta mostrando il meglio di sé. Sicuramente manca la grande politica e una mentalità ambiziosa capace di ragionare in termini di potenza. Il difetto sta nella narrazione offerta dalle élite europee poco abituate a un pensiero strategico completo, allucinate dall’idea di diluire ogni conflitto nella soluzione fisiologica del calcolo economico e convinte di riuscire prima o poi a raggiungere un equilibrio armonico. I più devastanti conflitti europei sono scoppiati come conseguenze dei tentativi di superare il pluralismo politico del continente. L’Unione Europea è ancora un territorio di scontro, attraversato da una cacofonia di interessi nazionali che a volte convergono e altre si contrappongono in un equilibrio sempre precario.
Germania e Francia da qualche mese dialogano con insistenza sulla trasformazione e riorganizzazione dell’Unione Europea. Il 19 gennaio, in occasione della firma del nuovo trattato dell’Eliseo, rinnovato rispetto a quello del 1963, i due paesi hanno ribadito la necessità di rafforzare la politica internazionale, monetaria e di difesa del vecchio continente. Il disegno, nei suoi contorni generali, era stato tratteggiato da Emmanuel Macron già il 26 settembre 2017. Nel discorso tenuto alla Sorbona, il presidente francese aveva annunciato la proposta di una nuova alleanza franco-tedesca, per dare “impulso decisivo” a un’Unione europea spesso “troppo debole, lenta e inefficiente”. Macron aveva indicato una data, il 2024, per una piena integrazione tra i mercati dei due stati.
Niente bazzecole sullo spirito dei padri fondatori, in quel discorso forse troppo ambizioso, il presidente francese delineava la sua idea di riforma dell’eurozona: un ministro delle finanze europeo, responsabile di un budget comune europeo a capo di un’agenzia in grado di emettere bond continentali per finanziare dei grandi investimenti pubblici.
La Germania è riluttante a condividere un budget con gli altri diciannove stati della zona Euro, timorosa al solito che dietro ai grandi proclami si nasconda la condivisione degli sprechi e come risaputo, non le piace nemmeno l’idea di condividere debito e tassi d’interesse con i paesi mediterranei. Però i tedeschi, spingono per un sistema di difesa europeo e lentamente, stanno avviando un processo di emancipazione dalla tutela pesante di Washington anche se sono necessarie delle rettifiche. Siamo solo all’inizio. In ogni caso tra Berlino e Parigi c’è intesa su alcuni obiettivi e una dialettica forte.
Il metodo con cui stanno imponendo la loro visione dell’Europa futura, può destare perplessità, ma l’Italia cosa sta facendo? Sonnecchia e osserva svaporata tra le nuvole, mentre il Mediterraneo ribolle. Troppo impegnata nelle zuffe da cortile tra sovranisti all’amatriciana ed europeisti in perenne adorazione. Una nazione che rifiuta di prendersi delle responsabilità politiche senza definire un progetto alternativo, ha sviluppato solo l’arte del lamento.
“Giugno o niente”, con queste parole il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha spiegato bene in un’intervita rilasciata a Politico.eu, il 21 gennaio: “questo non è lo stesso tipo di discussioni che abbiamo avuto in passato. Non stiamo parlando di idee generali, stiamo guardando ogni dettaglio tecnico per dar vita a un vero e proprio accordo”. Entro giugno tutto deve essere pronto.
A Roma i nuovi parlamentari dovrebbero leggere con attenzione questa intervista perché la qualità di una nazione e della sua classe dirigente, si valuta prima di tutto dalla politica estera. Parigi e Berlino vanno avanti per la loro strada, mentre noi siamo incapaci e strutturalmente impreparati a proporre qualsiasi alternativa in merito, per poi accusarli di ogni nefandezza – i perfidi tecnocrati di Bruxelles, i tedeschi che ci odiano, i francesi che ci comprano – quando saremo, per colpa nostra, nel solito guazzabuglio di problemi.
Finirà come per gli accordi Maastricht e col Fiscal Compact: ci sveglieremo tardi e poi ricominceremo con il piagnisteo. Sovrano è chi decide ed ha la forza e la capacità di par-tecipare ai processi decisionali dell’Europa. Qui sta il campo di battaglia dove si misura il valore di una nazione. Se non siete in grado di farlo, fregatevi …